LUNGO IL FIUME SAVA
12/06/2010 Croazia
Viaggiare per conoscere, per vedere luoghi che non immagino…viaggiare per essere migliore. Con questo propositi molti anni fa ho inforcato gli spallacci di uno zaino e mi sono diretto verso quel luogo ignoto che più mi ispirava. Da allora molte evoluzioni, molti luoghi vissuti e migliaia di vite incrociate. Tutte mi hanno lasciato un frammento di loro e viceversa, sono convinto che noi diveniamo la somma delle persone che incontriamo sul nostro cammino, per brevi attimi o per intensi amori formiamo giorno per giorno il nostro corredo vitale attingendo da esperienze altrui e da combinazioni delle nostre con le loro…non v’è progresso senza confronto. Forse è per questa ragione che lascio la mia fedele e rassicurante solitudine per condividere ogni instante di questo nuovo viaggio con l’amico Simone. Abbandonare la presunta infallibilità della mia mente per accettare confronti su qualunque banale scelta non è nella mia natura, anzi…la mia sopravvivenza fino ad ora la devo all’istinto innato di trovare soluzioni immediate a problemi improvvisi senza badare se la migliore ma solo alla volontà di attuarla. Ma questo lo so già fare e non basta per essere migliore. Convinco me stesso ogni giorno che la straordinarietà delle emozioni decuplica se le si condividono, se senti in più di uno percepisci la realtà, se discuti su di essa la capisci; altrimenti tutto prende la forma del compiacimento di un pittore per il suo quadro e non si proveranno mai nuove combinazioni di colori e nuove tendenze impressioniste. Oggi voglio mischiare terra di Siena con rosso carminio e dipingere quello che accade intorno a me. Voglio mettere in discussione il mio classico metodo di affrontare ogni evenienza e addolcirlo con sfumature d’azzurro e grigio, voglio imparare ad ascoltare non solo quello che mi affascina ma anche quello che considero inopportuno. Senza dubbio viaggio con la persona più adatta per insegnarmi questo e molto altro. Purtroppo la partenza non è delle più spensierate. La bici e pesantissima e il cambio sembra stia per abbandonarci, in più le nostre energie devono trovare in fretta un equilibrio altrimenti i problemi che già abbiamo si sommeranno con quelli che ci aspetteranno. Soluzioni a mia avviso ce ne sono e le domino, ma stavolta non sono solo e le menti differenti elaborano inevitabilmente piani differenti. Solo grazie a infelici discussioni è comune l’idea di spedire avanti l’equipaggiamento invernale per poi ritrovarlo più in la, si pensa così di alleggerire il carico e lasciare respirare il cambio. Se la cosa non bastasse dovremo sostituirlo con qualcosa di meno sofisticato ma solido, tale operazione è di una complicanza non comune e il risultato finale spaventa. Come se non bastasse imparare a gestire il sito internet da qui non è cosa banale. Ad ogni problema esiste una soluzione ma dobbiamo riportare al massimo la nostra forma mentale e legare in fase non solo la pedalata ma le energie. L’umore deve inevitabilmente essere eccellente e sinceramente fino ad ora ci siamo messi alla prova anche fin troppo per vedere se tutto questo sarà possibile. Non ho dubbi che fra qualche migliaio di chilometro saremo un solo motore e una sola mente ma per ora è tutto troppo nuovo e come per la migliore macchina messa assieme dall’uomo ci vuole rodaggio. Vedo con fiducia i prossimi chilometri e comincio a sentire già l’odore del prossimo mare che vedremo assieme. Ora pedaliamo sotto questo sole amico ma che non ci aveva avvertito della sua potenza improvvisa, abbiamo viveri e non temiamo la sete, già diversi chili li abbiamo dati in pegno alla dea dell’avventura…e sappiamo che ci vuole bene e ce li renderà al prossimo inverno. Non v’è lamento ne ritrattazione ma entusiasmo e aspettativa…noi andiamo avanti.
VERSO BELGRADO
19/06/2011 Serbia
Spaccati i primi mille chilometri, sapere che ne abbiamo ancora quattordici volte tanti non ci spaventa per nulla, anzi ci eccita. Fin qui non è stata una passeggiata, sia per il caldo sia per la messa in fase perfetta delle nostre due strane menti. Però alla fine le decisioni importanti nascono spontanee e i problemi si appiattiscono, la strada invece a volte no e spingere il nostro pachidermico tandem fino in cima le colline toglie davvero fiato. Fin dalle prime pedalate il cambio si è messo a funzionare male, è decisamente compromesso e quasi pedaliamo in punta dei piedi per non sentire il tonfo finale che lo seppellirà. La decisione è presa, va cambiato al più presto. Siamo consapevoli che vista la tecnologia e la rarità di questo attrezzo non possiamo chiedere assistenza alla prossima città che incontreremo, abbiamo bisogno di un’intervento dalla casa madre che ci sostituisca questa scatola magica indecifrabile. Fin dai miei primi giri per il mondo è legge muoversi con le cose più banali e facilmente recuperabili in ogni dove, invecie ci siamo fidati della garanzia assoluta…ma per ogni oste il suo vino è sempre il migliore di tutti. Comunque nei prossimi giorni qualcosa ci inventeremo e speriamo che stavolta l’oste ci mandi il vino dell’annata nuova fin qui nei Balcani…se no berremo birra. Un problema così grosso metterebbe fuori combattimento parecchi viaggiatori, primo perché difficile da risolvere e secondo perché successo appena fuori casa. Nel nostro caso invece ci sta’ rinforzando ed è quasi una manna dal cielo che ci sta’ dando il tempo di riflettere su di noi. L’errore di valutazione fatto alla partenza mi costa dubbi e delusioni, questo viaggio è decisamente troppo diverso dai miei precedenti, non riesco ad assaporare il mondo come sempre, non sento la libertà scorrere sotto le ruote, ogni decisone da prendere la valuto mille e più volte, prima l’istinto faceva da se ora la responsabilità per l’incolumità di Simone quasi mi angoscia. L’indiscutibile sicurezza che avevo conosciuto in lui quando preparavamo il viaggio l’ho vista svanire metro dopo metro e la sua inesperienza di viaggio non mi aiuta per nulla.. questa vita non gli viene spontanea e sta’ combattendo mille sue battaglie interne dovute alla disabilità che io nemmeno oso immaginare…Come ho potuto non fare queste considerazioni? in più non lo aiutano di certo i mie stati d’animo ombrosi e irritati dovuti al 100% delle responsabilità sulle spalle e al mio istinti di viaggiatore soffocato. La cosa così non può andare…ha bisogno della mia energia per poter cominciare a vedere, ha bisogno della mia esperienza per sentirsi sicuro, ha bisogno del mio maccheronico inglese per conoscere e fare esperienze. Con queste conclusioni non si gira alla prossima boa per tornare a casa e dire “ci eravamo sbagliati è troppo difficile”, No! Ora le carte le abbiamo scoperte e mettendo da parte i nostri titanici orgogli la rotta è una nuova, sempre verso Est ma con l’equipaggio consapevole di paure e bisogni uno dell’altro. Non sarà più il viaggio di Dino e Simone che vanno in India…ma di Dino che porta Simone in India…e sarà bellissimo! Non siamo veggenti ma qualcosa ci dice che in qualche modo sarà sempre in meglio. Fra qualche giorno si pareranno dinanzi a noi le prime vere salite, con esse qualche leggera brezza che spazzerà via questa afa dannata. Se le cose vanno come le abbiamo indirizzate noi il cambio nuovo dovrebbe aspettarci in Bulgaria a casa di un amico che ci ha contattato, poi vedremo se magari fare un tuffo nel mare della Grecia o proseguire semplicemente verso la Turchia.
DIREZIONE SOFIA
30/06/2010 Bulgaria
Siamo partiti da Belgrado ancora confusi dai postumi dell’incredibile ospitalità serba, le pietanze offerteci la sera della partenza ci pesano sullo stomaco come macigni ma l’entusiasmo per le persone conosciute ci spinge come vento in poppa. Scendiamo il fiume Morava cercando la pianura il più possibile, dolci colline e immense campagne ci accompagnano quasi fino alla noia ma la pioggia arriva e spazza via la monotonia. Tappe forzate di 150km per arrivare in fratta in Bulgaria per sostituire il cambio danneggiato dal troppo carico. Con il nuovo assetto alleggerito la bici è estremamente più maneggevole e sicura, uno specchietto retrovisore montato al volo ci rende l’andare più facile tra queste strade a volte trafficate. Da Jagodina prendiamo per le aperte campagne e lasciamo la piana superstrada, ancora più sali e scendi e dal celo acqua ininterrottamente. Ci perdiamo non poche volte ma anche senza chiedere qualcuno si avvicina e a gesti ci fornisce tutte le indicazioni per tornare sulla giusta strada, ancora l’ospitalità di questo popolo ci stupisce. Da Nis partiamo sempre sotto un diluvio incessante e ci portiamo al confine Bulgaro seguendo la veloce ma trafficata superstrada. La pioggia ti mette addosso quella strana atmosfera un pò malinconica che riporta a galla quei pensieri romantici mai conclusi, molte ore del nostro pedalare sono state dedicate a questi. A Dimitrograd ci rattristiamo coi serbi per la partita persa e l’indomani varchiamo l’ennesimo confine, siamo in Bulgaria. La strada sembra fatta per la bici, falsopiani susseguiti da discese lunghissime, tutt’attorno prati e pinete mentre all’orizzonte suggestive colline rocciose. Il Tandem fila veloce come il vento e non ci curiamo nemmeno dei randagi che tentano di inseguirci. In breve tempo arriviamo a Sofia dove è più dura tenere a bada i bambini zingari che tentano di rubarci la bandiera del carrello. Domani visiteremo la città e poi partiremo per Plovdiv dove c’è già il cambio nuovo che ci aspetta, speriamo di essere in grado di montarlo, ma ora che ci penso non abbiamo alternative. Le forze sono a regime e le gambe vanno sempre di più.
TRA EUROPA E ASIA
10/07/2010 Bulgaria
La bici che ci viene incontro è bassa, va veloce e chi guida ha i casco…non credo sia bulgaro. E’ Fabio, si è sposato qui a Plovdiv e ha messo su una spettacolare famiglia. Ci accompagna a casa sua dove è stato mandato il nostro tanto desiderato cambio nuovo. I suoi genitori, appena ripartiti, hanno lasciato il frigo pieno di “soppressa” e “grana”, commovente!…ci abbuffiamo e facciamo mattina raccontandoci le nostre vite. L’indomani pulisco il terrazzo, preparo tutti gli attrezzi come fossero strumenti chirurgici. Lucido la bici e studio la ruota nuova. Grondo sudore e capisco poco, comincio a smontare. Mi saltano in mano le sfere dei cuscinetti e questa non è una buona cosa e comunque riesco a seguire alla lettera le istruzioni mandatemi. Con la tensione di un intervento a cuore aperto richiudo il tutto e ingrasso per bene, ora vedo se il paziente riprende conoscenza. La ruota gira e le marce ingranano tutte. E vai! ora si può arrivare davvero fino in India. Qui in Bulgaria i girasoli non guardano il sole, è un paese dal basso profilo e non ci trasmette l’energia di cui abbiamo tanto bisogno per continuare il nostro viaggio. Pedaliamo attratti dall’oriente e in due giorni varchiamo il confine Turco, ad Edirne troviamo un alberghetto tutto scassato, ci frangano palesemente sul prezzo, per la strada ci fanno pagare il kebab il doppio…tutti gesti odiosi ma che mi fanno tornare in bocca il tanto desiderato gusto del viaggio. Le moschee, le donne col velo, l’Islam…ora tutto è ancora più nuovo per noi, ora tutto è davvero interessante. L’Europa da cui veniamo è a trenta chilometri da qui ma ci sembra lontanissima. Eccitati facciamo rotta per Istanbul. L’adrenalina per l’arrivo in questa leggendaria città fa miscela con la tensione per il più caotico traffico mai visto. Condurre questi quattro metri di bici a dieci centimetri dal guardrail e a cinque dagli immensi fianchi di camion mette davvero a dura prova il mio sangue freddo che al momento bolle. Sfiancato ripiego su una strada a caso per tenerci stretta la vita. Sempre a caso seguendo il mare arriviamo al cospetto della Moschea Blu. Un mese di dura fatica mai nemmeno immaginata per giungere nella città che destava il mio interesse solo quando la sentivo nominare nelle canzoni e nei racconti di viaggiatori un bel po più vecchi di me, ora servitami su di un piatto d’argento pronta per essere esplorata il più non posso. Sempre lasciando decidere alle fatalità capitiamo in una guesthouse non comune. Sarà perché forse è la più economica di tutta la città ma i viaggiatori di mezzo mondo sembrano aversi dato appuntamento qui e io non potevo mancare. Gente che arriva da ogni dove, gente che è in giro da anni o che per anni ancora lo sarà, gente con storie assurde ma che le credi vere solo perché ti è quasi successa la stessa cosa, gente che è stata tra le giungle e tra i deserti, gente che ti dice dove è meglio andare e gente che andrà dove gli hai detto tu, gente che è riuscita a varcare i confini di paesi proibiti, gente che ha lasciato la loro casa per ritornarci migliore…semplicemente gente come me. Energia! Quest’ultima si è impossessata di Simone che comincia a rodare con l’inglese e quello che ci mancava compare come d’incanto. L’incontro con quello che è il mio mondo gli ha fatto forse intendere che, anche se fin qui è stata davvero dura, ne è valso la pena. Girovaghiamo per la città con amici vari e le notti le viviamo fino all’alba. Questa attrazione fatale per quest’ostello ci fa quasi dimenticare lo scopo del nostro viaggio ma il mattino della partenza il dolore al sedere che compare fin dal primo chilometro c’e lo ricorda immediatamente. Ora rotta verso la Cappadocia, ora rotta verso dove non so.
SU E GIU’ A CASO
30/07/2010 Turchia
Quando si viaggia senza meta apparente ne direzione sono gli incontri che ti dirottano verso luoghi che nemmeno la tua mente immagina, solo così il futuro che t’aspetta è inimmaginabile. Ci dirigiamo verso Ankara senza le idee tanto chiare; le strade sono piatte e il traffico purtroppo non è una rarità. Facciamo sosta sotto ad un tendone per bere del cay e un turco elegante e spigliato in un ottimo inglese si interessa del nostro strano mezzo. Senza mezzi termini ci invita a prendere subito verso il sud senza badare alle grandi città monotone del centro Anatolia. Ci fa vedere alcune strade sulla mappa e a noi ci piace, ci ricorda un amico comune e il gioco è fatto, va bene al prossimo incrocio giriamo a sinistra allora. Riempiamo le borracce e tentiamo invano di pagare il conto. Dirigiamo quindi verso anonimi villaggi mai sfiorati da turista e d’incanto siamo gli unici abitanti della strada. La bussola punta esattamente verso sud e dirigiamo verso Goreme al centro della Cappadocia. Speravo in saliscendi più docili ma siamo motivati, gli incontri sulla strada iniziano e finiscono sempre con sorrisi e gesti di stima per quello chetiamo facendo. Ovviamente l’inglese è più raro dell’ombra in queste zone ma non incontriamo grossi problemi, i turchi si fanno in quattro per aiutarci. Molte volte telefonano per vedere dove possiamo trovare una sistemazione per la notte o ci offrono rimesse degli attrezzi. Questa mattina però la dea dell’attrito volgente che prego ogni notte prima di addormentarmi è furente, non basta una salita mozzafiato, un’infinita lingua di catrame fresco attende la ghiaia che si trasformerà in asfalto. Colla, è semplicemente colla. Sputiamo l’anima ad ogni pedalata ma anche con la discesa la faccenda non cambia, si deve spingere…nella mia vita di viaggiatore il catrame ancora caldo mi mancava. Sembra non finire mai. La ghiaia poi c’incasina ancora di più e la bici s’impianta. Solo la disperazione ci muove. Tentiamo una deviazione su per una salita che guardandola sai già che deve scender e spingere, non c’è sulla mappa ma l’incostanza ci guida. Mai cosa è stata più giusta, in cima c’è una fontana…l’hanno messa per noi si direbbe. Il paesaggio si apre su infinite distese di grano e la strada bianchissima la posso intravedere fino all’orizzonte…non c’è più salita. Alla notizia Simone spinge come un treno e come per incanto ci ricongiungiamo con la dannata strada incatramata ma un lembo lasciato intonso ci lascia proseguire senza problemi. Ora siamo scesi dalle montagne e la pianura tanto desiderata in due giorni ritorna ad essere una noia mortale. Siamo obbligati a tappe lunghissime per trovare posti dove dormire, il mio compagno ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi a dormire dove capita ed effettivamente qui il sole sorge alle 5 e dopo un quarto d’ora già brucia. Pedalare di notte è cosa molto stupida ma i nervi sono apposto e non corriamo rischi più di tanto. All’arrivo in queste sperdute cittadine destiamo parecchio stupore e abbiamo sempre sconti e le camere migliori. Una mattina c’appare sulla nostra destra un immenso lago di sale, obbligatoria tappa ma andarci dentro tenendo d’occhio la bici non è facile, optiamo per un turno di guardia. Ci sommergono flotte di turisti Italiani che scendono di corsa da lussuosissimo pullman, non ci degnano di uno sguardo, siamo invisibili. Particolare che a me non dispiace ma che a Simone lascia un po’ sgomento. L’indomani siamo a Goreme, un paesino costruito dentro le grotte scavate nei secoli dai monaci bizantini e da popolazioni greche succedutegli. La meta turistica in primis di queste terre e per noi un luogo ideale per riposarci dopo più di una settimana di pedalata non stop. Spavaldi l’indomani si prende la bici per visitarne i dintorni ma conveniamo in perfetta sintonia che è una cazzata, noleggiamo una motoretta e perlustriamo l’intera zona con tappe di più di duecento chilometri al giorno. Di viaggiatori come ad Istanbul neanche l’ombra ma sono molto interessanti le amicizie che facciamo. Dopo un po’ di giorni anche le più belle chiese affrescate o i paesaggi mozzafiato stancano e diamo l’addio alla cappadocia ammirando il tramonto dal punto più alto della valle. Non siamo soli su questo immenso masso di tufo denso di cunicoli e terrazze. Sulla cima il suono di un clarinetto accompagnato da due chitarre crea la colonna sonora perfetta per vedere il sole scomparire, mi devo ricredere, non sempre i turisti sono inutili. Simone si isola su di un masso mentre io armeggio con la macchina fotografica, non so’ cosa riesce a vedere ne a cosa sta’ pensando, immagino che questa melodia gli faccia bene. Al ritorno ho la prova che non mi sbagliavo e mi dice che finalmente sta’ entrando a pieno in questa avventura, ha parlato al vento la su e ha avuto una risposta. Ora dirigiamo verso est convinti di procedere dormendo in tenda sia per assaporare al meglio questa terra sia per risparmiare ma soprattutto per cominciare a fare i viaggiatori seri. Impossibile, veniamo invitti prima a cena e poi in un convitto di studenti dove rifacciamo un’altra cena e parliamo liberamente dei nostri sogni. Gli stessi, assolutamente gli stessi. I ragazzi quì hanno le nostre medesime idee sul mondo e la tenerezza con cui facciamo conversazione è toccante. Ci ringraziano di essere capitai sulla loro strada e di avergli dato speranza. Rimaniamo senza parole. Solo un’ombra su tutto, maledetti Kurdi. A pochi chilometri da Malatya foriamo per la prima volta e come un macigno mi travolge l’angoscia di aver trascurato terribilmente la nostra bici. Che deficiente, ma come ho potuto commettere un errore simile, io che rinunciavo al gasolio per cucinare pur di pulire il cambio della mia vecchia bici in Tibet. La risposta è lampante quanto la mia stupidità…non c’è ancora il feeling giusto tra la mia mente e ciò che sto facendo…mi sembra quasi un lavoro più che il mio sogno, è triste ma sto prendendo coscienza che non ho tutti i ricettori attivi ne la concentrazione per cogliere quello che mi circonda, sono in una bolla trasparente fuori dal conteso in cui sono ora. L’immensa responsabilità nei confronti di Simone, gli sponsor, l’eco mediatico, ecc ecc, sono tutti elementi che non avevano mai fatto parte dei miei viaggi e non riesco ad assimilarli. Fino ad oggi ho pedalato sempre guardandomi avanti cercando di scorgere l’orizzonte a più non posso. Ora invece mi guardo indietro, sto attento a come comportarmi con Simone e con tutti quelli a cui devo gratitudine, non riesco ad assaporare quello che mi accade. Mi piacevo indubbiamente di più tante tempo fa. Il mio primo pensiero era quello di riempirmi i polmoni d’aria pura ogni mattina appena messo il naso fuori dalla tenda, ora il mio primo pensiero è se sto facendo la cosa giusta. Non sono pronto per una convivenza con un disabile in questo contesto e ho nostalgia della mia libertà, quando sono molto stanco sapere che sto facendo un’immensa fatica in più del solito mi fa quasi impazzire e sapere che non ho una spalla su cui poggiare nei momenti di sconforto è terribile. Desidero un rimedio e rifletto ai limiti della meditazione e il primo passo lo faccio nell’amare questo tandem come tutti i mie fedeli cavalli meccanici precedenti. Lo puliamo fino all’ossessione e togliamo tutto il catrame dai freni e dai parafanghi, mi accorgo che il pneumatico posteriore ha subito un’usura sorprendente a causa di detriti appuntiti inglobati del catrame, nei prossimi giorni lo invertirò con quello davanti. Sostituisco i freni mentre Simone ingrassa le selle, perfino il mozzo dietro è piegato, il troppo carico lo ha quasi spezzato e sapermi così vicino ad una rottura tanto grave mi da la nausea. Ora la bici è pulita e si sente un po’ più amata, sembra avere il motore, piccolo, non potente, facciamo meno fatica, sembra ci sia meno attrito, la mia dea sta’ cominciando ad avere un’occhio di riguardo per me.
LE PRIME DURE PROVE IN SALITA
10/09/2010 Armenia
Andiamo allora verso l’Iran. La revisione del piano “B” comporta per noi quasi 2000km di strada in più. Ora non attraverseremo più l’Azerbaijan e poi il Mar Caspio ma scenderemo verso sud per poi proseguire attraverso tutto l’Iran verso est e di nuovo verso nord. Questo vuol dire che dovremo davvero andare di corsa altrimenti quando saremo sull’Himalaya sarà già inverno e il confine Pakistano sarà chiuso e quindi addio India in bici. Ne siamo pienamente consapevoli e sappiamo che il viaggio, già molto complicato fino ad ora, sarà ancora più pieno di tensioni e di decisioni drastiche e repentine. Ora non possiamo più permetterci di perdere tempo, dobbiamo studiare nei dettagli la rotta e il modo per avere nel minor tempo possibile tutti i frustranti visti che ancora ci mancano. Adesso si fa sul serio e speriamo che i nervi tengano Abbiamo il visto Iraniano finalmente, la fortissima energia di questo particolare ostello ci ha dato la grinta che un po’ sera persa lungo la strada per arrivare fino a qui. Siamo gli unici svegli e ci facciamo spazio sul tavolo per fare colazione tra le decine di bottiglie vuote , la piccola festa per il nostro tanto atteso documento ha lasciato il segno persino in testa, come un maglio sento il cuore pulsare sulle tempie…prometto basta vodka. Tiriamo la bici in strada e le catenarie nuove luccicano al sole, in questi giorni le abbiamo fatto una profonda manutenzione e ci sembra che possa affrontare al meglio la strada che c’aspetta. Lasciamo Tibilisi consapevoli che sarà tutta pianura fino al prossimo confine, questo ci mette buon umore e la bici sfreccia senza problemi. Le procedure burocratiche Armene filano lisce come l’olio e in men che non si dica ci troviamo a pedalare dentro strette valli fresche di pini e ruscelli. La strada comincia a salire ma il paesaggio riesce a distoglierci dalla fatica, si intravedono verdi pascoli la su ma i tornanti che ci separano dalla cima di questo passo sono ancora molti. Prima dell’imbrunire Simone è stanco e per oggi decidiamo che ottanta chilometri bastano, questo mi preoccupa non poco, le salite che dovremmo affrontare saranno dieci volte più ripide, infinitamente più difficili e 3000 metri più alte, sapere il mio compagno distrutto per così poco non mi fa dormire la notte. Partiamo per ciò all’alba per recuperare chilometri preziosi. Fa freddo e i villaggi appaiono ancora avvolti nel sonno sotto una coperta di bruma che a poco a poco il sole dissolve, anche i cani sembrano appena sveglie per oggi evitano di rincorrerci inferociti. Mattinata da cartolina tipo Svizzera e la discesa devo dire che c’e l’aspettavamo. Filiamo come missili su un’ottima strada deserta in direzione del lago Savan che qui chiamano mare. Siamo ospiti della madre di un amico armeno che ci raggiunge per cena, i brindisi a nostro favore sono molteplici e al limite del troppo. Impariamo in fretta il trucchetto di non finire mai il bicchiere e bere minuscoli sorsi così è improbabile che ancora alcol venga versato. Ci dilettiamo poi a vedere come questo posto di villeggiatura armeno attragga giovani per il fine settimana che si scatenano con le nostre stesse musiche estive ma con eleganti movenze delle danze classiche di questi posto che fanno di ognuno un provetto Gherrison. La strada per Yerevan ci fa un baffo e prima del buio arriviamo in un’accogliente anonimo ostello pulitissimo e con un bibbia sopra ogni letto. Il nostro soggiorno qui è dettato solamente dall’esigenza di recuperare denaro liquido per vivere il Iran inquinato nessuna carta di credito funziona e bisogna avere dollari alla mano. In più sto cercando di farmi aiutare da un’agenzia online per preparare i documenti per il visto Uzbeko da ritirare “Inshallha” a Tehran. Grazie al nostro amico Armen veniamo ricevuti dall’ambasciatore Italiano per una piacevolissima chiacchierata sul nostro progetto e per un’intervista per un quotidiano locale e uno il lingua russa. Beviamo perfino caffè di moca e vino nostrano. Nello stesso tempo festeggiamo il compleanno di Simone in pompa magna e la nostra promessa di non toccare più vodka c’e la siamo giocata al primo brindisi. Un’altra mattina che richiede quaranta minuti di doccia gelata e poi via a d assaltare tutte le banche della città per vedere come fare a recuperare tutti quei dollari. Missione non facile per di più interrotta da capogiri etilici troppo frequenti per l’importanza dell’operazione. C’è la necessità di partire l’indomani ma siamo in acqua alta e la tensione è alle stelle, su idea di Simone un intervento provvidenziale di mio padre che, anticipandoci il pagamento di un bonifico da casa, aggira le banche Armene appena chiuse per il fine settimana. Sul computer poi fino le tre del mattino per aspettare la conferma che tutti i nostri documenti per l’Uzbekistan siano in ordine. Partiamo come da copione ma stremati dalla troppa burocrazia e dai tempi stretti, ci metto non poco a tranquillizzare il mio socio tentando di spiegargli che solo così riusciremo ad arrivare in Pakistan prima dell’inverno. La guerra appena vinta a furia di mail ci ha fatto risparmiare quindici giorni d’attesa per il visto prossimo. Col broncio e solo l’Ipod come compagno entrambi spingiamo seri sui pedali costeggiando il monte Ararat e imboccando lo stretto corridoio tra l’Azerbaijane e il Nagorno Karabat. Incontriamo poi Simon un “personaggio” tedesco appena partito da Yeravan e fresco di viaggio, la sua bici sembra molto più idonea della nostra su queste colline ma quell’orgoglio che abbiamo in comune io e Simone fa volare il nostro tandem in cima ai passi dove ci prendiamo il lusso perfino di aspettarlo. Campeggiamo una notte assieme e ci pensa lui a smorzare le nostre tensioni. L’indomani ci salutiamo ad un bivio e la nostra solitaria salita ricomincia ma stavolta maledettamente contro vento. La bici non ne vuole sapere di andare più dei quattro chilometro all’ora e sta’ cominciando a fare buio. Questa salita dovrebbe finire intorno ai 1500m ma a 2000m ancora non vediamo la vetta. Tornante dopo tornante decidiamo di usare la corona piccola davanti, sappiamo che questo farà molto molto male al nostro stanco cambio ma non abbiamo scelta, il vento è fortissimo e sarebbe impossibile piantare la tenda (il rapporto di trasmissione così ottenuto imprime uno sforzo eccessivo ai delicati ingranaggi interni del nostro particolare cambio). Decisione imposta dalla stanchezza e dalla frustrazione di non arrivare mai inchina ma mai così giusta. Come per magia la bici torna diritta con la prua al vento e rincuorati risaliamo la montagna curva dopo curva. E’ buio da un paio d’ore e sulla cima intravedo due imponenti colonne ai lati della strada che indicano il passo, mi par di vedere le due sfingi del film “la storia infinita” che fulminavano con lo sguardo chiunque le oltrepassasse con nel cuore anche solo un briciolo di paura. A noi non succede nulla, buon segno. La gioia è immensa e per la prima volta ci riconosciamo l’un l’altro l’eccellente lavoro fatto per arrivare fino a qua su. Solo nelle difficoltà più grandi si hanno le soddisfazioni più toccanti. Purtroppo il nostro futuristico sistema di marce è stato progettato per una mezzo normale e non per una bici che pesa il doppio e caricata all’inverosimile, la scelta sbagliata di questo importante dettaglio si farà sentire come una spada nel cuore quando saliremo le alte e isolate cime himalayane, al momento ho seri dubbi di rimanere a piedi. Rimettiamo la catena sulla corona più grande per salvaguardare la bici e ci precipitiamo giù in discesa, la sotto da qualche parte un posto per mettere la tenda lo troveremo di sicuro. La mattina il vento si rifà vivo con voce grossa ma le dolci colline sono nulla paragonate a quello che abbiamo fatto ieri, per alcuni giorni la storia non cambia fino all’ultimo temuto passo prima del confine Iraniano. Di oltrepassarlo in giornata non ci penso neppure ma la inaspettata determinazione di Simone fa miracoli, arriviamo alla cima che è ancora giorno e ci prepariamo alla ripidissima discesa. Questa mastodontica bicicletta ha una massa tale che per frenarla in discesa i pattini sui cerchioni sviluppano un’attrito talmente prolungato che il calore prodotto fonde il copertone. Maestri di una lezione già studiata e un copertone già perduto scendiamo maneggiando i freni come attrezzi chirurgici e il freno ausiliario di Simone magistralmente adoperato ci fa arrivare al fondo valle sani e salvi ma con l’impianto seriamente usurato. Per fortuna l’Iran che c’aspetta è solo pianura e prossimamente sostituiremo pastiglie e pattini.
IL PAESE DELLE MERAVIGLIE
30/09/2010 Iran
Dopo le pene patite per avere questo benedetto visto la tensione quando siamo a pochi metri dal controllo di frontiera è alle stelle, per di più stiamo entrando nel paese nemico numero uno dell’occidente e educati dalla nostra televisioni siamo ancora più a disagio. Abbiamo fatto del nostro meglio per occultare le attrezzature video e il GPS, abbiamo pantaloni lunghi e camicia anonima quasi con un pizzico di eleganza; con sguardo sereno e attento procediamo a passo d’uomo verso i militari in mimetica da deserto. Semplice domanda “di dove siete?” alla parola “Italia” un’accenno di sorriso sui loro volti spazza via timori e paure covati da tempo. Al controllo dei passaporti tutto in ordine, poi buttiamo le nostre borse su di un tavolo di metallo e un signore svogliato c’e le fa aprire e ci butta dentro una mano come per pescare un numero della lotteria. Non estrae nulla. “Welcome to Iran” ci dice.Increduli usciamo dalle porte a vetri e senza capire bene da che parte andare inforchiamo la bici e via come schegge col timore che per caso qualcuno non ci richiami indietro per chi sa quale motivo. Seguiamo un lento fiume che costeggia il confine Armeno fino al primo villaggio, siamo in pieno Ramadan e trovare cibo sappiamo che sarà difficile come in Turchia. E invece per nulla. Un negoziato aperto ci invita a svuotarne le dispense e a fare scorta d’acqua e succhi, nel frattempo una folla sorridente e composta circonda Simone e la bici. Sono tutti entusiasti ed educatamente, con una sorta di dolcezza, ci chiedono da dove siamo. Seguono nomi di calciatori famosi e risate spontanee e sincere. Per rispetto non mettiamo bocca al cibo ne tautomero osiamo bere. Ci spostiamo di qualche chilometro fuori dal villaggio e quasi ci soffochiamo di acqua e merendine. La strada è nera e il sole brucia, i nostri già provati pneumatici si usurano a vista d’occhio ma devono durare per appena altri 800km poi a Tehran c’e ne spediranno di nuovi. La prima notte in tenda in suolo iraniano passa serena sotto un cielo stellato da paura. Dirigiamo verso Tabriz ,la prima grossa città sulla nostra rotta. Sfamarci è sempre difficile ma abbiamo scoperto che secondo l’Islam le donne incinta, i bambini piccoli, le persone anziane e i viaggiatori possono mangiare durante il Ramadan. Allora è fatta e troviamo un ristorante che serve pasti ai viandanti. Cerchiamo di recuperare più informazioni possibili sul paese e sulle nostre prossime tappe e un incontro fortuito con una mitica coppia di romani, Vittorio ed Annamaria, che viaggiano in camper fa proprio al caso nostro. Questo è il loro diciottesimo viaggio in questo paese che hanno sposato come seconda casa dopo un’incredibile atto di generosità verso una sfortunata bambina iraniana che ora vive grazie alla loro immenso cuore. Ci indottrinano su un sacco di cose e impensabili per noi occidentali, sembra il paese delle meraviglie con la gente più cordiale di sempre…ma come? se quasi quasi fra un po lo vogliono bombardare? Entusiasti dai loro racconti facciamo rotta verso Tehran e già dalle prime pedalate confermiamo tutto quello raccontatoci su questo meraviglioso popolo dai nostri “zii” romani. Macchine e motorini ci affiancano in continuazione, oramai ho imparato che alla prima incomprensibile domanda devo rispondere “italiano” e alla seconda “India”, c’ho sempre azzeccato fino ad ora. Noto con piacere che i ciclisti made in Italy sono i preferiti da queste parti e, come da sempre sostengo, il rispetto per la fatica ci fa immancabilmente mettere sotto la migliore luce. Ci viene offerta acqua e frutta ad ogni nostra sosta e la sera troviamo sempre qualcuno che ci offre un posto dove mettere la tenda e alla meno peggio un tappeto su dove srotolare il nostro sacco a pelo. Molto spesso ho timore a chiedere se c’è un hotel da qualche parte perché quasi sempre c’è qualcuno che si propone di ospitarci a casa sua per la notte. Una sera, particolarmente stanchi, abbiamo accettato l’Invito di Hossein e siamo stati coccolati con cibo delizioso e lenzuola pulite, la mogli però ha dovuto trascorrere la notte dalla madre. Stupefatti come Alice siamo stati aiutati ogni giorno da perfetti sconosciuti che a tutt’oggi ci telefonano per sentire come stiamo o se abbiamo bisogno di qualcosa. Oggi siamo troppo lontani da Tehran per arrivarci in giornata ma non abbastanza lontani da impiegarci due giorni pieni. Sprono Simone a provare a mettercela tutta per vedere se miracolosamente siamo alla capitale prima di sera, la discussione si prolunga in uno scontro caratteriale ma ho la meglio. La bici vola sulla piatta strada, i muscoli fanno male ma sappiamo che poi ci potremo riposare.Durante un solito accorrere di gente ad una nostra sosta per comperare bottiglie d’acqua uno strano tipo non mi pare interessato troppo al fatto che siamo in bici e insistentemente chiede qualcosa di incomprensibile, quasi scocciato lo mando a quel paese e ripartiamo dopo aver salutato tutti. Nemmeno un chilometro dopo lo vedo superarci con la macchina e accostare, ci fa segno di fermarci e con un sorriso ebete mi fa capire che è della polizia. Ma ti pare mai che questo che pare uno sfigato mi possa chiedere i passaporti. Con un cenno chiama a se un militare in mimetica che prende in custodia Simone ancora sulla bici e apre una porta di un ufficio da dove escono dei presunti funzionari di polizia. Mi confermano il suo ruolo e monto in macchina solo dopo avergli spiegato la situazione del mio compagno che intuisce anche il soldato che lo piantona. Percorriamo tutto il villaggio a ritroso e ci fermiamo davanti ad un muro bianco con una porta di ferro imbiancata con la stessa mano di colore. Un cortile pieno di poliziotti in uniforme e con aria soddisfatta mi si apre davanti, cazzo! Questo tipo mi fa cenno ad entrare e richiude il portone con doppia mandata e mi mette a sedere dentro ad una stanzetta. Senza una parola d’inglese inizia a farmi noie perché il passaporto di Simone è un po sgualcito. Arriva un’altro sbirro, faccia più carina del ruolo che riveste, ma un po basso per essere un bell’uomo. Con un’arroganza da strappargli gli occhi comincia a mimarmi le manette unendo i polsi, e le sbarre della prigione mettendosi la mano a dita aperte sul viso. Mi vuole arrestare. Mille telefonate e poi mi fanno svuotare le tasche e il marsupio. Uno prende l’Ipod e fa segno che lo vuole, figuriamoci. S’innervosisce e riattacca con la mimica dei polsi uniti e della mano sulla faccia. Mi scaldo pure io e voglio andarmene ma mi trattengono, altri poliziotti arrivano alla porta e mi sbarrano la strada. Durante i miei viaggi sono stato arrestato, perquisito e interrogato molte volte ma sempre soffrivo di quell’insicurezza, a volte certezza, di essere nel torto e di dover nascondere qualcosa. Ma questa mattina ero pulito e ingiustamente trattenuto da due che non sapevano a ,mio avviso, che diavolo stavano facendo. I musi si induriscono e cominciano ad alzare la voce. Sono in Iran dopo tutto e non mi sembra proprio il caso di fare il bullo senza paura e alzare la cresta. Dopo quasi un’ora lasciano i passaporti sulla scrivania vicino al mio telefono e mentre raccatto tutte le mie cose gli infilo nel marsupio. Ho questo piccolo vantaggio ora e gioco l’ultima carta. Se funziona, bene, ma se questi s’incazzano di brutto la situazione precipita. Appena quello meno brutto abbassa lo sguardo per finire di compilare chi sa quale modulo al computer prendo il cellulare e m’invento il numero dell’ambasciata italiana che da emerito coglione non ho con me. Simulo una conversazione e ripeto “embassi” “embassi”, poi mi abbasso per leggere il nome di sto pirla sulla targhetta della sua scrivania. Non mi lasciano nemmeno finire. Ok! ok!, finish. Mi riportano alla macchina e mi riaccompagnano da Simone. Alla fine scopro che mentre a me minacciavano di arrestarmi a lui i militari avevano offerto dolcetti e fatto buone conversazione sulla nostra impresa. Che paradossale esempio di com’è questo assurdo viaggio. Decisamente seccato salto sulla bici e tracimo via Simone che saluta i suoi “nuovi amici”. Devo ammettere che quando mi girano le palle spingo molto di più sui pedali e recuperiamo il tempo perso. Con la migliore luce dell’imbrunire entriamo in città e ci sembra un sogno. I quattro metri del nostro mezzo si destreggiano perfino con eleganza tra l’anarchico traffico e inebriato dall’esserci arrivato in un giorno fermo le auto agli incroci a colpi di sinceri sorrisi.
Ehi, ma non finisce il diario? È bellissimo leggere le tue imprese, ma non puoi farle finire sul più bello!